Approccio Clinico

Approccio cognitivo comportamentale

Approccio cognitivo comportamentale

L'orientamento psicologico di tipo Cognitivo-Comportamentale ha origini abbastanza recenti, ma presenta radici che risalgono al primo tentativo di studiare il comportamento umano applicando il metodo sperimentale e scientifico.

Nato negli USA all’inizio degli anni sessanta, il comportamentismo si proponeva di studiare l’uomo attraverso tutte le manifestazioni che in qualche modo erano osservabili, misurabili e verificabili, in contrapposizione a tutte quelle correnti di pensiero e di studio i cui assiomi non sono sempre verificabili secondo il metodo scientifico.

Molto efficace nell’affrontare alcuni disturbi dovuti ad “apprendimenti” di tipo pavloviano quali ansie, fobie, disturbi post-traumatici da stress, l’approccio si concentrava soprattutto sugli stimoli in entrata che attivavano un comportamento e su quelli “in uscita” che erano la risposta dell’ambiente (inteso soprattutto in senso interpersonale e sociale) che contribuiva a incoraggiare o scoraggiare un certo comportamento.

Funzionava quindi molto bene in alcuni ambiti ma non teneva conto del fatto che tra l’input (l’entrata dello stimolo) e l’output (reazione attraverso un comportamento) c’era proprio quella scatola (la “black-box” ovvero il nostro cervello o la nostra mente) che portava la persona a filtrare e a scegliere un comportamento in base a quelle che sono le personali visioni della realtà, le convinzioni, le credenze, ma anche le emozioni provate dalla persona in un certo contesto.

E’ stato allora ben accolto il contributo della Teoria Cognitivista, secondo la quale alla base del disturbo psicologico vi sono rappresentazioni, distorsioni ed errori di pensiero, i quali portano spesso a convinzioni errate che diventano col tempo veri e propri "schemi mentali" disadattivi che portano al disagio e alla sofferenza.

L'approccio Cognitivo-Comportamentale rappresenta quindi l'integrazione tra cognitivismo e comportamentismo ma riceve continuamente nuovi influssi e contributi anche da correnti di pensiero affini, come il costruttivismo, le neuroscenze, ecc., e cerca di riesaminare quei processi psico-cognitivi e comportamentali che sono inadeguati, , disfunzionali, disadattivi e che portano quasi sempre alla psicopatologia: senza trascurare la parte emotiva dell'individuo, lavorando anzi molto sul riconoscimento, la rimodulazione e l’uso ottimale delle proprie emozioni, anche attraverso l’uso di tecniche di training emotivo, rilassamento, mindfulness.

Non si butta niente

Potrebbe essere questo il principio quando ci si chiede cosa rimane del comportamentismo. Ma non è esatto: molte cose, come abbiamo visto, sono cambiate ma non si butta ciò che è ancora efficace nella cura di alcuni disturbi come ansie, fobie, ossessioni, per i quali l’approccio comportamentista, arricchito dai numerosi contributi ricevuti, resta ancora oggi una tecnica “d’elezione”.

In questi ambiti infatti, gli obiettivi sono: la riduzione, del comportamento di evitamento e di fuga dalle situazioni che provocano ansia, paura, stress, disagio interiore).

In questi casi la terapia consiste proprio nell’affrontare, con un piano terapeutico costruito dal terapeuta insieme al paziente, proprio quelle situazioni che si cercano di evitare.

Il tutto in maniera graduale, con l’importante supporto del terapeuta che aiuta il paziente a sviluppare e a far leva su strategie di “coping” che, non appena hanno successo, migliorano la sicurezza, la padronanza e l’autostima del paziente aiutandolo a ristrutturare la rappresentazione mentale legata ad alcune situazioni e a rimuovere quindi pensieri e credenze disfunzionali (Cognitive Reframing).

Non è allora una certa situazione ed esperienza che crea i sintomi quanto piuttosto l'interpretazione e i vissuti che la persona opera su di esse.
E’ un approccio quindi centrato sul presente e sull’assioma, preso dal costruttivismo, che la realtà non è quella che vediamo e percepiamo, ma quella che costruiamo.

La realtà infatti, nella sua complessità, è impossibile da cogliere interamente per esseri sofisticati ma limitati quali siamo.

Di fronte alla complessità del mondo, già i nostri organi di senso si sforzano e spesso ci ingannano nel percepire e ricostruire la “realtà esterna”. In questo lavoro di costruzione e “ricostruzione” mentale ci creiamo quindi “modelli” di realtà che tendono a divenire veri e propri modelli di comportamento che entrano nel nostro repertorio, nelle nostre abitudini, convinti che siano gli unici “possibili” e più adeguati.  

E’ proprio in questa accezione che il terapeuta stimola il confronto, fa da “specchio” per il paziente, aiutandolo ad inquadrare meglio le sue rappresentazioni di Sé, degli Altri, della Realtà: non imponendo ma confrontando, interrogando, “PROPONENDO” punti vista diversi che scaturiscono dal dialogo col terapeuta all’interno delle sedute.

Possiamo quindi dire che nell’approccio cognitivo-comportamentale paziente e terapeuta sono profondamente alleati e collaborativi.
Personalmente sono solito costruire il progetto terapeutico non proponendolo al paziente ma concordandolo e costruendolo insieme a lui.

E' proprio sull'attiva e decisa collaborazione che si fonda l'approccio Cognitivo-comportamentale, sostenuto da continui risultati clinici positivi, ampiamente misurati e documentati non solo a livello nazionale ma anche a livello dell’OMS che ha più volte testato l’efficacia dei diversi approcci terapeutici.

L’accento posto sulla possibilità di apprendere continuamente nella vita, di acquisire nuove abilità più efficaci ed adattive fa di questo approccio un metodo altamente “educativo” e pedagogico. Fa leva infatti su una visione positiva dell’uomo che ha un processo di “crescita” che copre l’intero arco della vita ma che può essere interrotto dal disagio, dal conflitto, dal disturbo.

Per questo siamo quindi soliti definire questo un approccio “olistico” che prende in considerazione l’intera persona. I pazienti che ricorrono allo specialista per un sintomo, un disturbo, escono spesso dalla terapia “arricchiti”, consapevoli, con nuove risorse, pronti a riprendere un percorso e un progetto di vita: è questo l’obiettivo più ambizioso ma quello che ci soddisfa maggiormente quando avviene.

Tutto questo fa di questo approccio (al di là dell'età della persona) un supporto ed un aiuto psicologico concreto, incentrato sulla persona, sul presente, relativamente breve come durata se paragonato ad altri approcci, attivo, paritetico (tra paziente e dottore), psico-educativo ed infine specificatamente funzionale rispetto a:

  • disturbi d'ansia;
  • attacchi di panico
  • disturbi dell'alimentazione;
  • disturbi sessuali;
  • disturbi psicosomatici;
  • dipendenze;
  • disturbi del sonno e dell’umore;
  • problematiche relazionali, scolastiche e/o lavorative.


Psicoterapia individuale e di coppia

Psicoterapia familiare

Disturbi sessuali maschili e femminili

Ansia, ossessioni, fobie

Attacchi di panico

Disturbi alimentari

Depressione

Dipendenze da fumo, droghe, gioco, ecc.

Disturbi età evolutiva

Problematiche sociali, scolastiche, lavorative